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Introduzione progetto

“ Ogni giorno in cui indugiate ad opporvi a questo mostro infernale, aumenta sempre più, come una curva parabolica, la vostra colpa”

Tratto dal III volantino della Rosa Bianca.

Un Viaggio che cambia per sempre

Almeno una volta nella vita bisogna affrontare un Viaggio della Memoria per rendersi conto di come la storia ha molto da raccontare e da cui bisogna imparare . Da Norimberga, fulcro delle adunate e riunioni naziste, a Ravensbruck simbolo delle deportazioni femminili da tutte le parti di Europa, a Monaco di Baviera centro di un movimento di giovani antinazisti, la cui idea fu fermata dal grande potere della tirannia tedesca.

Ogni luogo ha una storia precisa da raccontare e da trasmettere, emozioni che spuntano solo vivendolo appieno. Ravensbruck nasce per terminare le vite altrui. Di Ravensbruck ora rimane poco e quel poco fa riflettere. Il silenzio ti gela più del freddo del luogo. Si è coinvolti in qualsiasi cosa una volta entrato, si può capire come quelle povere donne vivevano, peggio della miseria, nude e stanche. Ancora più impressione è la minuziosità con cui i nazisti progettavano tali campi. Nelle loro atrocità e crudeltà erano perfetti, esempi di perfezione logistica, nulla era lasciato al caso.

Tutto votato alla morte.

In particolare Il campo di concentramento KZ Ravensbruck , ora lo si trova spoglio (sono rimaste poche strutture ), ma nel suo silenzio si percepisce tutto quell’orrore che si è consumato al suo interno.

L’immagine del forno crematorio è inquietante se immaginato in funzione, ma più ancora l’indifferenza dei cittadini che vivevano nel paese di fronte al campo, pienamente consapevoli delle torture e omicidi che venivano consumati davanti ai loro stessi occhi. Norimberga è come un simbolo moderno della società.

Un tempo cuore e fulcro dell'ascesa e dell’affermazione di una cruenta tirannia, luogo simbolo delle leggi razziali del 1935 e del suo crollo, con i processi ai maggiori esponenti del Nazismo, oggi è un luogo svuotato,che si presenta come ombra di una ideologia contro la quale si è tanto lottato.

Simbolismi ed ideologie, è questo che rappresenta Norimberga, l'epicentro del Nazismo, dove lo stendardo della croce uncinata sventolava giorno e notte, a ricordare al popolo tedesco che esisteva una nuova strada da seguire, che c’era qualcuno disposto a guidarli alla grandezza. Era un teatro all'aria aperta, dove l'ignoranza veniva nutrita dalla speranza, il disonore ricoperto di gloria. Oggi la storia di questo luogo viene occultata dallo sport washing del rally, ma quattro ruote riusciranno mai a cancellare la memoria, la storia, il ricordo che ha sfregiato in modo indelebile questa città?

Pensare che la stessa strada in cui sono avvenute parate, discorsi e manifestazioni naziste sia ora diventata oggetto di gare automobilistiche o centri commerciali è particolarmente significativo. Piano piano questo orrore rischia di essere dimenticato e ignorato. Norimberga viene ricordata per i suoi rally e non per le realtà crudeli ingegnate, pensate, costruite e eseguite in essa. Il resto dimenticato.

Guardando il paesaggio rimane poco da ritrovare, da ricordare.. Nascondere gli orrori,questa sembra una volontà e fa riflettere! Il perché di queste scelte potrebbe avere molteplici ragioni. Ciò però, non giustifica ciò che abbiam visto, soprattutto ciò che non abbiamo visto. Il Museo della Rosa Bianca e’ la storia della forza delle idee e del coraggio nel portarle avanti.

Ricorderò i nomi, i volti, i silenzi, le emozioni e ogni volta sentirò il dovere di ricordare quanto accaduto.

Nürnberg

“Dalla libera città imperiale alla roccaforte/sede del terrore nazista.”

Sin dai tempi di Federico II la città di Norimberga è stata centro culturale del territorio tedesco, di fatto tutt’oggi è centro economico e culturale della Franconia; purtroppo però la si ricorda come centro operativo della macchina nazista.

1927: In quest’anno i raduni del partito si svolgono ufficialmente a Norimberga. Con i consensi in forte crescita, la macchina propagandistica non si accinge a fermarsi. Hitler, con l’aiuto di Goebbels, istiga sempre più gli animi dei tedeschi.

1933: Dopo esser salito alla cancelleria della Germania, Hitler trasforma Norimberga nel centro dei congressi del partito, in una piccola porzione di città la Reichsparteitagsgelände; iconiche strutture sono lo Zeppelinfeld, la Luitpoldarena e il Kongresshalle. Quest ultima, incompleta seppur imponente, doveva essere simbolo assoluto della Germania Nazista, alta circa 40m dei 70m previsti, monumentale dimostrazione di forza e fermezza del regime.

Di lì a poco, si giunge alle famigerate leggi.

- la "legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco"; (RGBl. I S. 1146);
- la "legge sulla cittadinanza del Reich" (RGBl. I S. 1146);
- la "legge sulla bandiera del Reich"

Identificato un nemico, la rabbia si tramuta in odio. Il popolo, dalla vista offuscata viene strumentalizzato dalle smanie di un folle e del suo piccolo seguito, partecipa attivamente alla persecuzione delle minoranze, ambendo all’epurazione della Germania, atto a preservare lo spazio vitale del popolo tedesco. Il popolo dunque, già con una percezione debole dai trascorsi del paese, vien manipolato e strumentalizzato dai deliri di un folle e del suo piccolo e tremendo seguito; pure i civili si macchiano di atrocità, persino gli omertosi. (Ciò detto, esisteva la resistenza in Germania, ma e’ un altro capitolo)

Questa è Norimberga. Era.

Di fatto sono eventi fortunatamente condannati dal 99% della popolazione mondiale, la quale però fu titubante dal 45 al 46. Al tribunale, convinti dagli americani, gli alleati si ritrovano a dover processare i tedeschi responsabili di tali disumane scempiaggini, condannati a morte, all’ergastolo o comunque pene severissime, a quale scopo? Non è nostro scopo farci e farvi questo genere di domande, non ora perlomeno.

Zeppelinfeld

A pochi passi dal Congresso si trova la Zeppelinfeld, una vasta piazza in cui venivano tenuti i tristemente celebri raduni nazisti, dal 1928, iniziando con semplice propaganda fino all’invasione della Polonia e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Nella maestosa piazza vi si riunivano tutti i seguaci di Hitler e le SS. In questa piazza si svolgevano i “ Raduni “ del Partito Nazista dove il capo carismatico rafforzava la parola del popolo dato che la Germania usciva disastrata e perdente da una Guerra Mondiale e Il cancelliere sembrava colui che potesse risollevare la Germania.

Il Fuhrer presiedeva le riunioni nella piazza da una postazione sopraelevata nel cui sfondo , imponente , primeggiava la Svastica. La piazza era composta da grandi colonnati di marmo la cui architettura fu presa da una struttura in Turchia chiamata “ Altare di Pergamo “. Vi è , inoltre , un grande rettilineo chiamata “Große Straße “ di lunghezza pari a un kilometro, dove si svolgevano le parate militari delle SS per dimostrare la forza del Terzo Reich.

Durante la Seconda Guerra Mondiale questa pista veniva utilizzata per l’atterraggio di aerei militari per massimizzare l’aviazione tedesca. Purtroppo, oggi , di questa piazza rimane poco, oltre ai bombardamenti degli alleati che hanno smantellato tutti i colonnati di marmo , ma soprattutto balza all’occhio come tuttora si cerchi di nascondere uno dei luoghi fondamentali dell’ideologia Nazista.

È stato costruito uno stadio al di fuori della piazza e un centro commerciale lungo il suo confine per cercare di mascherare il più possibile la struttura. Nel museo all’interno del Congresso , lo Zeppelinfeld vengono ricordati soprattutto i raduni automobilistici e le gare di Rally che si sono tenuti negli anni successivi e tutt’ora vengono svolte, emarginando la vera Storia per cui andrebbe ricordata. Inoltre dentro la piazza si svolgono , anche , concerti , mostrando menefreghismo rispetto la struttura in cui si trova il pubblico.

Entrare a Ravensbruck

Guardare quell'entrata mi suscita angoscia, terrore...dolore. Più la guardo, più mi da la sensazione di osservare una cortina di fumo che la ricopre. L'abisso che si palesa ai miei occhi emette urla, grida, è il coro della morte che esprime la natura di quel luogo.

Allungando la mano sembra di toccare quelle anime, usurpate dalla dignità di vivere. Sembra tutto composto da cenere, creato da un fuoco infernale il cui unico scopo è quello di umiliare, distruggere, porre fine al concetto di umanità. Prendo coraggio e lo attraverso , dall'altra parte, sotto forma di silenzio gelante, mi si palesa qualcosa di indescrivibile, una sensazione dimenticata dalla nostra generazione.

E’ immenso nel suo nulla ingombrante, sembra un girone infernale dantesco, in cui coloro che entrano hanno soltanto la colpa di essere macchiati del peccato di essere nati sbagliati agli occhi di quell'altro, condannati a diventare un numero, derubati della speranza di sopravvivere.

Il campo di Ravensbruck

Ravensbrück era un campo di concentramento nazista nel nord-est della Germania situato vicino al villaggio di Furstenberg; luogo strategico: fuori da Berlino quindi lontano da occhi indiscreti e vicino ad una città con una stazione (era facile far arrivare nuove prigioniere) . Era principalmente un campo femminile, anche se vi erano uomini e bambini deportati oltre a quelli che nascevano all'interno del campo.

Camminando attraverso i cancelli di Ravensbrück, senti il freddo metallo sotto le tue mani tremanti. Davanti a te si estende un desolato campo circondato da un muro alto metri sormontato da filo spinato e torri di guardia. Le baracche, fitte e grigie, si allineano lungo strade polverose, con fumo che si alza dai camini. Le donne, dall'aspetto logoro e affaticato, trascinano secchi d'acqua e pesanti carichi di legna, mentre gli occhi vuoti tradiscono il terrore e la disperazione che permea il luogo. Il suono dei comandi urlati e delle grida di dolore risuona nell'aria, mescolandosi al pianto sommesso delle vittime. Ogni angolo racconta una storia di sofferenza indicibile, di vite strappate e speranze infrante dall'implacabile macchina di morte nazista.

L'organizzazione del campo di Ravensbrück seguiva una struttura gerarchica rigidamente controllata dai nazisti. Al vertice c'era il comandante del campo, responsabile delle operazioni quotidiane e delle decisioni cruciali. Sotto di lui c'erano le guardie SS, incaricate di sorvegliare i prigionieri, far rispettare le regole e infliggere punizioni. le guardie del campo abitavano appena al di fuori del campo, poche decine di passi, con mogli e figli che vivevano come se nulla fosse; avevano animali domestici, i figli andavano a scuola proprio come una famiglia “normale” (“ interessante” il caso di un ragazzo, figlio del comandante del campo, che minacciò una prigioniera che lavorava come giardiniera a casa sua di denunciarla a suo padre perché aveva smesso di lavorare) All'interno del campo, vi erano anche i capi dei blocchi, che gestivano le attività quotidiane nelle baracche dove i prigionieri dormivano e lavoravano. Questi capi dei blocchi spesso erano prigionieri collaborazionisti o detenuti privilegiati scelti dalle autorità naziste.

Inoltre, c'erano le prigioniere incaricate di ruoli di supervisione e di organizzazione all'interno del campo, come le Kapo, che spesso erano *prigioniere criminali* ( detenute tedesche) o politiche selezionate per mantenere l'ordine tra gli altri detenuti. Infine, c'erano i prigionieri comuni principalmente donne: dissidenti politiche provenienti da tutta europa ma non mancavano rom o donne appartenenti alla comunità lgbt, costrette a lavorare in condizioni estreme e a sopportare abusi fisici e psicologici. Il campo era anche provvisto di un carcere in cui venivano rinchiuse le deportate carismatiche che volevano ribellarsi alle SS o venivano imprigionate donne scomode per il regime come la moglie dell'uomo che organizzò l'attentato a Hitler. Questa organizzazione piramidale assicurava un controllo totale da parte dei nazisti sul campo e sui suoi prigionieri, alimentando un clima di terrore e oppressione.

Il clima spietato di Ravensbrück era aggravato dalla fame costante che tormentava i prigionieri, con razioni di cibo scarne e insufficienti a soddisfare i bisogni nutrizionali più basilari. Le donne, debilitate e esauste, lottavano per sopravvivere tra le rigide regole del campo e le violenze perpetrate dalle guardie naziste. Le malattie, diffusesi rapidamente nelle condizioni igieniche precarie, mietevano vittime tra le fila dei prigionieri, con le baracche trasformate in infermerie improvvisate dove le cure erano scarse e spesso inefficaci. La costante paura della selezione, che significava la deportazione verso i campi di sterminio come Auschwitz, aleggiava su ogni prigioniero, rendendo ogni giorno una lotta per la sopravvivenza.

Le fabbriche nei campi

Durante il periodo bellico, i nazisti hanno impiegato i prigionieri nei campi di concentramento per la produzione di armamenti e equipaggiamento per i soldati tedeschi, un esempio emblematico di tale utilizzo è il campo di Ravensbruck. Qui, la manodopera prigioniera veniva sfruttata per la fabbricazione di componenti per armi e per la creazione di uniformi per i soldati e gli agenti della SS.

Queste prigioniere, spesso costrette a lavorare per 14 ore al giorno in condizioni disumane, affrontavano malattie, fame e stanchezza. Tuttavia, lavorare al chiuso, come avveniva in queste fabbriche, offriva un certo grado di protezione dal freddo e dalla fatica fisica, rendendo il lavoro, sebbene estenuante, uno dei migliori tra quelli disponibili.

Le attività lavorative erano variegate, spaziando dalla produzione di componenti elettronici e meccanici alla riparazione di capi con paglia e tessuti. L'ambiente di lavoro era caratterizzato da violenze verbali e fisiche, da una scarsa igiene dovuta alla sovrappopolazione e da ambienti poco ventilati, che favorivano la diffusione di malattie.

Aggiungiamo a questi elementi la pressione psicologica estrema, che portava le prigioniere in uno stato di depressione e di stress post-traumatico, particolarmente dopo la liberazione del campo. Non possiamo dimenticare che, oltre ai nazisti, anche altre entità hanno sfruttato la manodopera gratuita dei prigionieri.

Tra queste, la Siemens Electric Company, un colosso internazionale, che non ha subito ripercussioni significative per l'uso di questa manodopera, rappresentando un esempio sconcertante di come la guerra e l'oppressione possano essere sfruttate per fini di lucro.

Il sistema concentrazionario del campo

Il campo di Ravensbruck fu aperto il 15 maggio 1939 ed inizialmente vi deportarono oltre 2.000 donne tra comuniste, socialdemocratiche, testimoni di Geova e antinaziste, crescendo mano mano fino ad arrivare a circa 130.000 deportate nel corso della sua attività, rendendolo il più grande campo femminile tedesco.

Nel giugno del 1941 sorse anche un piccolo campo maschile, separato da quello femminile, arrivando a contare circa 20.000 deportati. L’anno seguente il campo subì un grande sviluppo economico, grazie alla costruzione di fabbriche intorno ad esso, rendendolo una vera e propria città concentrazionaria.

Il sistema concentrazionario divenne centrale, con i funzionari nazisti che finalizzavano alla repressione e allo sfruttamento nell’industria civile e bellica. La più importante fu la Siemens, ne venne costruito un padiglione all’esterno delle mura del campo, vicino al lago per avere condizioni igieniche migliori rispetto agli altri capannoni situati all’interno, questo venne fatto non per il benessere delle detenute, ma per non contaminare i prodotti e favorire l’industria bellica.

Nello stesso periodo cominciarono esperimenti medici su deportate polacche per trovare un antidoto alla gangrena gassosa che stava colpendo e portando alla morte molti soldati ed ufficiali tedeschi. Nell’aprile del 1943 venne edificato il forno crematorio e negli anni seguenti le deportazioni divennero sempre più massicce, e per farne fronte, venne imposto l’eliminazione giornaliera di una sessantina di detenute.

Principalmente venivano uccise le detenute che non erano più in grado di lavorare e coloro che non sarebbero state in grado di spostarsi per lunghe distanze, dato l’arrivo imminente dell’Armata Rossa.

Agli inizi del 1945 il numero di eliminazioni giornaliere crebbe ancora e per velocizzare le operazioni si decise di adottare il gas, perciò venne costruita una camera nel campo, situata vicino al forno crematorio, ed inoltre quest’ultimo venne migliorato per essere più efficiente.

Fino a quando il 30 aprile del 1945 venne liberato dalle forze sovietiche, che trovarono circa 3.000 donne e 300 uomini in condizioni terribili.

Biografie

Lina Polizzi

Nata il 10 dicembre 1926 a Parma, di professione sarta, operò come staffetta nella 12a Brigata Garibaldi “Ognibene” con il nome di battaglia “Gabriella”. Fu arrestata il 31 luglio 1944 e in seguito deportata a Ravensbrück, da dove fu liberata il 30 aprile 1945.

La famiglia Polizzi era tra le più attive nell’antifascismo parmense. Il padre, Secondo Polizzi (classe 1898) detto Ernesto, di mestiere falegname, aveva preso parte alle barricate erte contro le squadre fasciste nell'agosto del 1922. Il resto della famiglia era composto dalla madre Ida Mussini (classe 1906) e dai figli Laura (classe 1924), Primo detto Manetto (classe 1925) e Lina (classe 1926). Finita la guerra, Ida, Lina, Laura e Primo riuscirono a tornare, sebbene fortemente debilitati, a Parma.

Ernesto, invece, non tornò più. Solo più tardi si seppe che era stato ucciso pochi giorni prima della Liberazione, il 22 aprile 1945.

<<Capii subito che eravamo in trappola. Mia madre voleva mettersi un paio di sandali; glieli ruppero in faccia per vedere se dentro c’erano dei documenti.>> Laura Polizzi.


Julca Destrovik

Fu una profuga slava arrivata a parma per organizzare i gruppi di difesa della donna. Al momento della deportazione è in evidente stato di gravidanza. Insieme a lei c’è anche Laura Polizzi (nome di battaglia “Mirka”), deportata insieme a tutta la famiglia.

Gli interrogatori durano un mese finché Laura e Julca non vengono mandate nel campo di transito di Bolzano, dove le detenute sostano qualche tempo in attesa della deportazione in Germania, impiegate come donne di servizio per le truppe tedesche.

<<Ogni tanto ci mettevano in fila ed erano botte e spintoni. Ricordo che una volta rovesciammo per terra del riso e me lo fecero raccogliere grano per grano mentre loro ridevano.>>

Nell’agosto del 1944 le due donne arrivano a Ravensbrück.

<<Eravamo in tante. Non so quanti giorni siamo state là dentro. Spesso c’era l’allarme e il treno si fermava. Noi speravamo ci venissero a liberare i partigiani. Dentro c’era gente che aveva sete e bisogno di andare al gabinetto: Julca, poi era incinta. Ravensbrück mi sembrava immenso. C’erano tante baracche. Ci condussero in uno stanzone molto grande; cominciarono a spogliarci completamente. Mia madre aveva agganciato l’orologio da polso alla spallina della sottoveste, forse per comodità. Pensando che lo volesse nascondere, la picchiarono.>> Laura Polizzi


Lidia Beccaria Rolfi

Nata a Mondovì, in provincia di Cuneo nel 1925, fu una scrittrice e insegnante italiana. Prese parte alle attività anti-fasciste sin da giovane, partecipando alla resistenza italiana contro il regime fascista e nazista. Venne arrestata il 13 aprile 1944 dai fascisti e incarcerata a Cuneo.

Consegnata alle Gestapo (polizia segreta nazista), fu trasferita inizialmente a Saluzzo, poi a Torino. Il 27 giugno 1944 venne deportata nel campo di concentramento e sterminio di Ravensbrück insieme ad altre 13 donne. La sua permanenza durò fino al 26 aprile 1945, ritrovando la libertà durante una marcia di evacuazione organizzata dalle SS.

Ritornò in Italia nel dicembre 1945, riprendendo l’insegnamento e portando le sue testimonianze nelle scuole. Iniziò a lavorare successivamente per l’Istituto Storico per la Resistenza di Cuneo e per l’Associazione nazionale ex deportati.

Nel 1978, insieme ad Anna Maria Bruzzone, “Le donne di Ravensbrück”, prima opera italiana sulla deportazione femminile nei campi di concentramento della Germania nazista.

[…] “Al momento dell’arrivo in campo nessuna di noi conosce la realtà concentrazionaria.” […]

[…] “Ravensbrück ci appare davanti, all’improvviso, sul tardo pomeriggio del 30 giugno, quando il sole è già sceso. Parlare di inferno dantesco è quasi ovvio. È uno spettacolo indescrivibile, allucinante, assurdo. Sembra di piombare su un altro pianeta.” […]

[…] “Tutte le donne, migliaia e migliaia, hanno lo stesso aspetto scheletrito, sono vestite allo stesso modo, o a righe o con abiti stracciati, ricoperti da croci bianche; hanno ciabatte ai piedi, la pelle gialla, gli occhi fissi, il viso stravolto dalla stanchezza. Sul braccio sinistro, cucito alla manica del vestito portano un triangolo colorato e un numero, a qualcuna sui fianchi pende una tazza di ferro smaltato, altre hanno un cucchiaio infilato nell’asola del vestito. Sembrano appartenere a un altro mondo, e in effetti appartengono a un mondo che non conosciamo ancora, al mondo del disumano” […]

[…] “Ogni minimo particolare è studiato apposta per accelerare il processo di spersonalizzazione delle detenute destinate a divenire numeri, esseri senza nome della città concentrazionaria.” […]

Passi di “Le donne di Ravensbrück”, Lidia Beccaria Rolfi

Il museo della Rosa Bianca

Il Museo della Rosa Bianca (Weisse Rose Museum) a Monaco di Baviera è un luogo dedicato alla memoria e al ricordo del movimento di resistenza antinazista chiamato Rosa Bianca. Questo movimento studentesco e intellettuale si oppose apertamente al regime di Adolf Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il Museo della Rosa Bianca si trova nel cuore di Monaco, nella Ludwigstraße, vicino all'Università Ludwig Maximilian. Il museo offre ai visitatori una panoramica dettagliata sulla storia e sulle attività del gruppo di resistenza della Rosa Bianca, focalizzandosi principalmente sulle azioni di alcuni studenti e professori universitari che hanno messo in pericolo la loro vita per opporsi al regime nazista.

Il percorso espositivo del museo è organizzato in diverse sezioni, che illustrano la vita e l'opera dei membri della Rosa Bianca, come Sophie Scholl, Hans Scholl, Alexander Schmorell, Willi Graf e Christoph Probst. Attraverso fotografie, documenti originali, lettere e testimonianze audiovisive, i visitatori possono comprendere la determinazione, il coraggio e la resilienza di questi giovani che hanno lottato per la libertà, la democrazia e i diritti umani.

Il museo presenta anche una serie di mostre temporanee e eventi educativi per approfondire diversi aspetti del movimento della Rosa Bianca e del contesto storico in cui si è sviluppato. Inoltre, offre materiali didattici per scuole e gruppi, promuovendo la consapevolezza e la comprensione della storia della resistenza antinazista in Germania.

La visita al Museo della Rosa Bianca è un'esperienza profondamente emozionante e educativa, che invita i visitatori a riflettere sulle conseguenze dell'indifferenza, dell'oppressione e sulla necessità di difendere i valori democratici e i diritti umani in ogni epoca e contesto storico.

In conclusione, il Museo della Rosa Bianca a Monaco di Baviera è un luogo di memoria e di riflessione, che celebra il coraggio e la determinazione di coloro che hanno lottato contro l'oppressione nazista e che invita le future generazioni a impegnarsi attivamente per la pace, la libertà e la giustizia.

La Resistenza

Hans e Sophie Scholl sono due figure emblematiche della resistenza non violenta al regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Nati rispettivamente nel 1918 e nel 1921, in Germania, i fratelli Scholl si sono distinti per il loro coraggio e la loro determinazione nel combattere l'oppressione e l'ingiustizia.

Hans Scholl si iscrisse all'Università di Monaco di Baviera nel 1937, dove iniziò a sviluppare le sue convinzioni politiche anti-naziste. Presto si unì a un gruppo di studenti chiamato "La Rosa Bianca", che si oppose apertamente al regime di Adolf Hitler. La Rosa Bianca distribuiva volantini e graffiti anti-nazisti in varie città tedesche, esortando i cittadini a resistere pacificamente al governo oppressivo

Sophie Scholl, anch'essa studentessa universitaria, si unì al movimento insieme a suo fratello Hans. Con il loro coraggio e la loro determinazione, i fratelli Scholl divennero leader del movimento studentesco anti-nazista. Nel febbraio del 1943, furono arrestati mentre distribuivano volantini nella loro università

Durante il processo, Hans e Sophie Scholl difesero coraggiosamente le loro azioni, denunciando il regime nazista e sostenendo la libertà di parola e di pensiero. Nonostante le minacce e le intimidazioni, rimasero fedeli ai loro principi fino alla fine. Il 22 febbraio 1943, Hans e Sophie Scholl furono condannati a morte per tradimento e giustiziati tramite ghigliottina lo stesso giorno

La loro morte suscitò indignazione e solidarietà in tutto il mondo. Hans e Sophie Scholl divennero simboli di resistenza non violenta e di coraggio morale contro l'oppressione. La loro eredità vive ancora oggi, ispirando persone in tutto il mondo a lottare per la giustizia, la libertà e i diritti umani.